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CALCIO

La grande intervista con Álvaro Morata

Da Madrid a Torino, passando per Londra, Istanbul e Milano: Álvaro Morata ha vinto ovunque abbia giocato. Ora, il capitano della Spagna apre un nuovo capitolo sulle rive del lago di Como. Con BLU parla di famiglia, calcio e di perché il numero sette continua ad avere un significato speciale.

A 32 anni, Morata si trova all’inizio di una nuova sfida. Ha indossato le maglie di Real Madrid, Juventus, Chelsea, Atlético Madrid, Milan e Galatasaray. In carriera ha sollevato titoli in Spagna e in Italia, conquistato due Champions League e arricchito la sua bacheca con Europa League, FA Cup, Coppa Italia e Coppa di Turchia. Pochi attaccanti hanno attraversato il calcio europeo con la stessa intensità, al punto che i suoi trasferimenti complessivi lo collocano tra i più costosi della storia. Ma ora, sulle sponde del Lario, la sua parabola assume una forma diversa.

«Sono davvero felice, orgoglioso. Mi sento a casa. Da quando ho firmato con il Como, tutti mi hanno accolto al meglio, con un messaggio o con un gesto. È come far parte di una grande famiglia e sono fiero di esserci», racconta.

Per lui, il calcio non si misura solo in gol. «Non penso soltanto a segnare. Voglio lavorare con la squadra per raggiungere obiettivi comuni. Non sono il tipo che immagina traguardi da solo, perché il calcio è uno sport di gruppo. Voglio condividere gioie e fatiche con i miei compagni. Non vedo l’ora di indossare questa bellissima maglia e vivere insieme battaglie e momenti importanti.»

Il suo percorso è stato forgiato dai più grandi allenatori. «Ho lavorato con tanti tecnici, tra i migliori al mondo, e ognuno mi ha lasciato qualcosa. Simeone mi ha dato motivazione, Conte mi ha insegnato la tattica. Sono contento anche perché il nostro allenatore qui ha collaborato con i più grandi. Ha un carattere forte e spero che questa stagione possa regalarci soddisfazioni.»

La scelta di venire a Como è stata immediata. «Quando ho ricevuto la chiamata ho detto subito che era un progetto incredibile. Lo scorso anno ci ho giocato contro e abbiamo sofferto tanto. Ho visto con i miei occhi che il Como sta diventando un grande club, con ambizioni e strutture importanti. È un progetto serio, con un grande allenatore: per me una grande opportunità. Non ho dovuto pensarci troppo. Serge è una leggenda, con enorme esperienza, e ho seguito sia la testa sia il cuore.»

Il suo viaggio l’ha portato a confrontarsi con culture diverse. «Sono stato fortunato, tutte le mie destinazioni mi hanno dato molto. A Londra ho imparato a essere forte come uomo, e questa è la cosa più importante della vita: il calcio non è tutto. Ogni Paese mi ha insegnato qualcosa, anche a livello culturale. I miei genitori mi hanno dato un’educazione straordinaria. Mio padre, quando ho iniziato a giocare accanto ai grandi campioni, mi disse di osservare, analizzare e tacere. Solo lavorare. La parte mentale conta tanto: nel calcio c’è pressione, e nelle accademie non insegnano a gestirla. Non è follia chiedere aiuto a uno specialista: se andiamo in palestra per il corpo, possiamo farlo anche per la mente.»

Oggi le priorità sono chiare. «Sono fortunato ad avere la mia famiglia. Ora capisco che le cose più importanti nella vita sono famiglia, salute e felicità. Il calcio è il nostro lavoro, ma la famiglia è la vita. Anche i miei figli sono motivati, vogliono giocare a Como e sono entusiasti. Non vedono l’ora di vivere l’esperienza con la squadra.»

Ricordi e consigli hanno lasciato il segno. «Iker Casillas mi disse una volta che tutto ciò che desideri — il successo e le cose straordinarie — arriva solo con sacrificio e lavoro. Non è questione di fortuna. Lo adoro, con lui ho tanti ricordi.»

E sui trofei ammette: «La medaglia più importante è sempre l’ultima, perché non sai mai se sarà l’ultima volta. Certo, l’Europeo o la Champions hanno un valore speciale, ma anche la Coppa di Turchia mi ha reso l’uomo più felice del mondo: ogni titolo richiede sacrificio.»

Morata parla anche di adattabilità, non solo in campo: «Ogni giorno, appena sveglio, cerco di essere il miglior padre. Poi, dopo aver accompagnato i miei figli a scuola, provo a essere il miglior professionista, un buon amico e un buon marito. Bisogna adattarsi e dare sempre il massimo.»

Anche il numero sulla maglia racconta una storia. «Il sette è speciale. Devo ringraziare Lucas perché lo voleva anche lui, ma me lo ha lasciato. Lo rispetto per questo. È il numero che indosso con la Spagna e che amo da bambino. Darò il duecento per cento per rendere orgogliosi squadra e tifosi.»

E quando si immagina una giornata perfetta a Como, sorride: «Un giorno libero con mia moglie e i miei figli, magari insieme a Sergio Alberto e ai suoi bambini. Ci servirà una barca grande, perché siamo tanti! Andare sul lago, con quel panorama, sarebbe fantastico. Ci sono già stato perché è famoso in tutto il mondo, ma non vedo l’ora di rifarlo.»

Chi inviterebbe invece a cena sul lago? «Prima i miei genitori, perché la scorsa stagione è stata dura e loro mi sono stati accanto sempre. Sono i miei idoli. Poi Carlos Alcaraz, che è un buon amico, così magari giochiamo anche a golf. Dal passato, forse Maradona: uno dei più grandi di sempre. Vederlo sul lago di Como, con un espresso e un sigaro, sarebbe incredibile. E gli farei mille domande.»

La sua avventura a Como è appena iniziata, ma le sue parole spiegano perché questo capitolo assomigli a un ritorno a casa. Morata, l’attaccante che ha vinto in tutta Europa, oggi parla con la serenità di chi sa dove stanno le priorità. Per il Como non si tratta soltanto di gol: si tratta di una presenza, di un leader e di un uomo di famiglia che ha scelto il lago come nuovo palcoscenico della sua carriera.