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Davide, il tifosissimo del Como
Davide, tifoso di lunga data, racconta la sua storia: come si è avvicinato ai colori BiancoBlu e come non li ha mai più abbandonati.
“La passione per il magico Como è un’eredità di famiglia, tramandata da mio nonno, mio padre e mio zio: i primi a vederlo allo stadio furono loro, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90. Poi, è arrivato il mio turno.”

“L’avvicinamento per me, è stato nel ’99, quando lo storico team manager del Como, Panzeri, e il magazziniere Carlo, mi portarono per la prima volta a Orsenigo, dove si allenava la prima squadra. Fu un sogno per me… Da lì iniziò un rapporto che, oltre che da tifoso, divenne quasi di lavoro.
Anche se andavo a scuola, al pomeriggio ero sempre a Orsenigo a vedere gli allenamenti: uscivo da scuola e via, diretto al campo, con papà che mi aspettava per ore in macchina, lui si leggeva la Gazzetta… che pazienza che aveva! Aiutavo i magazzinieri, il grande Giorgio e Carlo.
Da quel momento la storia si fece interessante: contatto diretto con giocatori e dirigenti che prima vedevo solo in TV.
Un giorno ero in vacanza ad Aosta con i miei genitori e mio fratello; ma appena finì il ritiro del Como, me ne tornai a casa anch’io, pur di stare a Orsenigo agli allenamenti… i miei volevano ammazzarmi!”

Un cimelio di quegli anni era un K-way firmato con dedica da Christian Bianchi, lo storico massaggiatore del Como.

Gli anni più belli? La scalata dalla C alla Serie A: record su record, i ritiri con la squadra, l’aria che si respirava negli spogliatoi era intensa, ti dava l’adrenalina a mille.
Tanti aneddoti: per esempio il cambio di tacchetti al portiere Brunner. Dovevo cambiarglieli tre volte a partita perché diceva che si consumavano, ma in realtà era solo scaramanzia: erano da 17 mm, ma ne valeva la pena.”

“Il giorno della promozione, Como-Empoli 2-0: Allegretti e Oliveira, ed è Serie A.

La domenica successiva, con la Sampdoria a Genova, facemmo uno scherzo al grande prof Martinelli: mentre leggeva la Gazzetta, prese fuoco una pagina e lui si spaventò… che ridere! Eravamo in hotel ad Arenzano, vista mare: uno spettacolo.
Il team manager mi disse: ‘Davide, pensaci tu a recuperarmi la giacca in camera.’
‘Tranquillo, Panz, ci penso io.’
Come no… La giacca rimase in hotel. Gli fu spedita due giorni dopo a Como. Però eravamo felici per la promozione, quindi nessun problema.
“Perfino in una domenica della cavalcata verso la A, Carlo Taldo, ex attaccante del Como, mi regalò un orologio che diventò il mio portafortuna… da lì non perdemmo più: fu una cavalcata devastante.”

“Ho tante foto a cui sono affezionato, legate al Como, che raccontano un po’ tutto il percorso che ho fatto supportando questi colori.
La prima mi vedeva condividere questa passione con il mio grandissimo papà, con la sciarpa dei Pesi Massimi. Purtroppo, lo scorso anno è volato in cielo… Ho sempre visto le partite con lui, anche quelle in trasferta. Mi mancano tanto quei momenti: si gioiva, ci si arrabbiava, si voleva sempre vincere.
Adesso tiferà da lassù, insieme al nonno e allo zio.
Ciao, papà.”

“Naturalmente ho seguito anche quest’anno la prima di campionato allo Stadium contro la Juve: un sogno entrare lì dentro… peccato per il 3-0.”

“Poi c’è Italo, un’icona per il Como: lo storico magazziniere dello stadio.
Questa foto è dello scorso anno, prima di sistemare i cuscini in tribuna e le bandierine in campo. Sempre due chiacchiere e due risate con lui, alla fine mi ha visto crescere. “

“L’altra foto è con il mio amico Tommy, che in questa occasione posso dire di aver visto crescere io… di solito lo dicono sempre a me!
Eh sì, dietro a proteggerci c’è sempre lui: il presidente Alberto. Una grande persona, storico tifoso… detto il Drugo.”

“Un’altra foto, con lo striscione ‘Pochi ma buoni’ a Carate: gli anni della D, dove ogni anno c’era la paura di non riuscire a iscriversi al campionato. Tempi diversi da ora”

“Ora, la foto con Cesc, il mister: umile, mai conosciuto qualcuno così preparato su come si fa calcio. Il nostro presente e il nostro futuro. Il top.”

“Poi con uno dei miei due giocatori preferiti: Alberto Cerri, il bomber, con in mano la Coppa Borgonovo.
Con lui ho un rapporto particolare, siamo diventati amici, lo sento spesso. Mi chiedeva sempre di mio papà.”
“E poi Ale, il capitano: foto scattata a Mozzate, perché quando sono a casa un giro di perlustrazione lo si fa sempre.
Senza dimenticare Super Bolco.
Io vado un po’ controcorrente con i beniamini: tutti ad acclamare chi fa la giocata, il gol, l’assist, ma nel calcio, per far funzionare davvero una squadra, servono anche quelli che corrono e si fanno il mazzo.
Me lo diceva sempre il direttore Carmine Gentile.”

“Altra foto, a San Marino, in Serie D nel lontano 2013, in sala stampa: era praticamente un tavolo con due sedie da picnic.
Io e l’amico Paolo Corti improvvisammo una conferenza stampa mentre aspettavamo di tornare a casa. Quella partita finì 3-0, giornata amara, purtroppo, come succedeva spesso ma non si mollava mai: sempre lì, a vedere il magico Como.”

“Non me l’aspettavo di ritrovarmi nel libro del Museo del Como, scritto dal grande Enrico Levrini.
Como-Roma, stagione 2002/03: zero vittorie fino a quella data, 25 gennaio 2003. Si gioca allo stadio Garilli di Piacenza — il Sinigaglia era squalificato per tre giornate a causa dei disordini in Como-Udinese.”

“Partenza: destinazione Park Hotel, dove andavano tutte le squadre per il pre-partita. I soliti riti scaramantici, sperando portassero bene. E così fu, finalmente.
Era la Roma di Capello, con Tommasi, Samuel, Aldair, Cafu e capitan Totti.
Si parte: partita tirata, ma si gioca bene. Sono fiducioso.
All’82’, Music — gli si gridava sempre ‘Gasiga! Gasiga!’ — parte come una saetta: che dribbling…
Al 90’, la mette dentro Benny Carbone.
Fischia la fine Treossi… non ci credevo!”


“Non cambiò molto, perché ormai la retrocessione era scontata, purtroppo.
Fu un’annata nata male per tanti motivi: troppi arrivi, troppe cessioni importanti a poche ore dalla chiusura del mercato.
Peccato, perché con la squadra che aveva vinto il campionato di B sarebbero bastati pochi ritocchi: c’era gente con gli attributi… sarebbe stato uno squadrone.
Però dai, il ritorno a Como da Piacenza fu diverso dal solito: eravamo contenti, anche se la retrocessione era ormai alle porte.”


“Comunque, anni bellissimi, in cui ho conosciuto tanti giocatori e dirigenti con la D maiuscola, che sento ancora oggi, perché si era creato un grande rapporto: eravamo una famiglia.
Grazie, Como, per avermi accompagnato per così tanti anni. Vedremo insieme dove riusciremo ad arrivare.”