
CALCIO
Conosciamo Mërgim Vojvoda: Da Liegi a Como
Il percorso di Mërgim Vojvoda verso il Como 1907 è stato tutt’altro che convenzionale. Nato in Germania da genitori kosovari albanesi, si è trasferito in giovane età in Belgio, dove è nato il suo amore per il calcio. Dalle partite nelle strade di Liegi al suo affermarsi nel calcio belga con il Standard Liegi e Royal Excel Mouscron, Vojvoda ha compiuto il grande passo nel 2020 in Italia, approdando al Torino, dove ha trascorso cinque stagioni nella prima categoria. Ed ora che si sta ambientando a Como, BLU lo ha incontrato per raccontare delle sue prime impressioni, della sua passione per il calcio e del motivo per cui potrebbe diventare il prossimo campione di ping-pong del club.

Benvenuto a Como, Mërgim! Quali sono state le tue prime impressioni appena arrivato e vedendo il lago?
“Prima di tutto, grazie mille. È stato fantastico; non era ciò che mi aspettavo. La mia prima impressione sulla città è molto positiva, è bellissima. L’avevo già visitata in passato e in estate è ancora più spettacolare. Quindi, finora va alla grande.”
Quindi eri già stato a Como. Quest’estate o gli anni passati?
“Sì, esatto, ero già stato qui. Ho passato un fine settimana a Como e mi è piaciuto davvero tanto.”
Cosa ricordi di quel viaggio e cosa hai visitato?
“Ho soggiornato al Mandarin Oriental, che ha una splendida piscina sul lago, perfetta per rilassarsi. È questo il ricordo più vivido che ho, semplicemente la possibilità di godermi quel momento.”
Quali sono le tue aspettative per i prossimi anni, sia per il progetto del Como che a livello personale?
“Nel breve termine, il nostro obiettivo principale è restare in Serie A. È fondamentale, soprattutto perché lo scorso anno eravamo in Serie B. Rimanere in Serie A è davvero importante per acquisire fiducia e costruire qualcosa di solido. Oltre a questo, con il Como, vogliamo raggiungere qualcosa di straordinario, qualcosa di inaspettato. Noi giocatori siamo coscienti di quali siano gli obiettivi: dobbiamo raggiungerli e fare in modo che Como venga conosciuta sotto una nuova veste.”
Quali sono i tuoi primi ricordi legati al calcio, sia da giocatore che da spettatore?
“Per me, è iniziato tutto in strada. Ho iniziato in un club professionistico a 16 anni, ma prima di allora ho passato tantissimo tempo a giocare per strada. Tutto ciò che riguarda il calcio, dal calcio di strada al futsal, lo riconnetto a quei momenti. È lì che sono cresciuto. Per quanto riguarda il calcio professionistico, il mio idolo era Ronaldinho; è lui che mi ha fatto innamorare dello sport in sé. Penso che valga lo stesso per tanti bambini. Il suono del pallone che colpisce la rete è una sensazione da brividi, è unica.”
Sei diventato un difensore centrale o un terzino, ruoli che non sono tipici del futsal.
“Sì, è vero, grazie a mio fratello che mi ha sempre sostenuto. Sono diventato un difensore centrale flessibile, capace di fare azioni più tipiche del futsal. Con il tempo ho sviluppato questo stile di gioco particolare, facendo mosse che di solito non sono tipiche di un centrale. Crescendo, ho avuto più responsabilità e ho imparato a essere più consapevole di quello che devo fare in campo. Quel tocco di rischio, quel pizzico di follia, fa parte di me, e spero di continuare a esprimerlo al meglio.”

C’era una squadra che tifavi da bambino o che segui ancora oggi?
“Sì, ce ne sono due: Chelsea e Barcellona. Erano squadre che mi piacevano per le loro tecniche di gioco.”
Da bambino il tuo idolo era Ronaldinho o c’era qualcun altro?
“Era sicuramente Ronaldinho. Era il mio idolo per via del fatto che si divertiva quando giocava a calcio. Giocava solo per il piacere di farlo, e questa era una cosa che ho sempre amato anche io. Mi divertivo così quando si giocava per strada. Ovviamente, ora che sono un professionista, è un altro tipo di divertimento, ma già da allora adoravo quel suo atteggiamento spensierato.”
Hai qualche rituale o superstizione prima delle partite?
“No, sono musulmano e ho una forte fede in Dio. Non ho superstizioni particolari; credo semplicemente nel fare tutto nel modo migliore che posso.”
C’è qualcuno che ha avuto particolare influenza sulla tua carriera?
“Sì, mio fratello. È sempre stato al mio fianco, come una guida, e mi ha fatto conoscere il calcio dandomi supporto costante. Lui è stato una figura molto importante nella mia vita e lo è ancora oggi.”
Come si chiama?
“Gazmend.”
Gioca anche lui?
“Giocava, ma ha smesso così da potermi supportare al meglio. Quando ero più giovane, è capitato che giocassimo nella stessa squadra, ma poi ha deciso di fermarsi per concentrarsi sul farmi da guida e da supporto.”
Che consiglio daresti a un giovane che vuole diventare calciatore?
“Se ami quello che fai, devi fare tanti sacrifici. Molti pensano che arrivarci sia la parte più difficile, ma la vera sfida è restare al top e mantenere quel livello. Bisogna costantemente imparare, non arrendersi mai e non dare importanza a ciò che fanno gli altri. Ognuno ha i propri punti di forza e il proprio percorso da portare avanti.”
Cosa ti piace di più dell’Italia, considerando che vivi qui da cinque anni?
“Il clima, senza dubbio. Vengo dal Belgio, dove piove spesso e fa freddo, quindi in Italia il sole svolta davvero la giornata. È un fattore che apprezzo tantissimo.”

Hai iniziato a giocare per l’Albania e poi sei passato al Kosovo. Puoi raccontarci un po’ della tua esperienza internazionale?
“Ho iniziato con l’Under 21 dell’Albania a 19 anni, poi, quando il Kosovo è stato riconosciuto dalla FIFA, ho deciso di cambiare e giocare per loro. Sono molto orgoglioso di rappresentare la mia terra. Oggi sono il secondo giocatore con più presenze nella nazionale del Kosovo.”
C’è qualche sport che ti piace, oltre al calcio?
“Mi piace la mountain bike, ma anche il basket e il ping pong. Sono davvero bravo a ping pong, ed è uno degli sport che pratico più spesso.”
Sapevi che Gabrielloni dice di essere un campione di ping pong?
“Davvero? Beh, quando vuole, possiamo fare una partita.”