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CALCIO

Fede, calcio e digiuno

Quando Assane Diao segna un gol, il gesto che compie non è solo un’esultanza, ma un atto di gratitudine. Il suo caratteristico sujud, la prostrazione al suolo, è un tributo alla sua fede: un gesto che ricorda, anche visivamente, il ruolo profondo che la religione occupa nella sua vita.

“Sì, di solito quando segno un gol lo faccio alla fine, per ringraziare Dio e come forma di riconoscenza”, spiega Assane. “Per avermi aiutato non solo a segnare, ma anche a realizzare il mio sogno: giocare nelle partite che amo”.

Per Assane, come per i compagni di squadra del Como 1907 Alieu Fadera e Mërgim Vojvoda, la fede è una guida costante, non solo in campo ma anche nella vita quotidiana. E con l’arrivo del Ramadan, il suo impatto si fa ancora più profondo.

Il digiuno dall’alba al tramonto è uno dei capisaldi del mese sacro. Una pratica che richiede disciplina, forza interiore e una connessione spirituale intensa. Per chi vive di sport ad alti livelli, con ritmi e carichi di lavoro elevati, la sfida è ancora più impegnativa. Ma per Alieu, è un’esperienza abbracciata sin da bambino.

“Vengo da una famiglia musulmana e ho iniziato a digiunare intorno ai dieci anni», racconta. «È una sensazione che conosci da piccolo, e viverla è incredibile: ti dà un senso profondo di spiritualità. Sai che lo stai facendo per qualcosa di più grande”.

Anche Mërgim sottolinea il significato profondo del Ramadan, che va ben oltre l’astinenza da cibo e acqua.

“Per me, il Ramadan rappresenta la fede che porto dentro. Non si tratta solo di non mangiare o bere, ma di cercare la ricompensa e la misericordia di Allah”, spiega.

Assane ammette che i primi giorni possono essere difficili, ma col tempo il corpo si abitua e tutto diventa più naturale.

“All’inizio è un po’ complicato non mangiare e non bere durante il giorno, ma dopo qualche giorno il corpo si adatta. E la verità è che sto bene”.

Bilanciare il digiuno con gli allenamenti e le partite richiede attenzione e una gestione precisa delle energie. In questo percorso, il sostegno dello spogliatoio e del club gioca un ruolo fondamentale.

“Pensavo proprio a quello che ci siamo detti prima: il supporto ricevuto è stato davvero importante», racconta Alieu. «Ho un mio angolo nello spogliatoio dove prego ogni giorno. A volte capita che qualcuno dei compagni mi prepari il tappetino per pregare. Sono piccoli gesti che ti fanno sentire rispettato, capito, accolto”.

Anche Assane ha notato come la curiosità verso il Ramadan abbia creato occasioni di confronto e rafforzato i legami all’interno della squadra.

“Alcuni compagni mi fanno domande quando arriva il Ramadan. Non conoscono bene questa pratica, quindi chiedono, sono incuriositi. Io glielo spiego, ed è bello ricevere domande interessanti. Ma la cosa più importante è che si mettono nei nostri panni, ci rispettano e ci danno una mano. Questo fa la differenza”.

Per Mërgim, condividere il Ramadan con altri compagni rende tutto più semplice.

“Quando hai altri compagni che osservano il Ramadan, diventa tutto più naturale. Ci sosteniamo a vicenda. Il giorno della partita o alla vigilia ci basta uno sguardo per capire che non siamo soli. E questo, sì, aiuta”.

Nonostante le esigenze fisiche, nessuno dei tre vive il digiuno come un ostacolo. Al contrario, lo vedono come una fonte di energia e motivazione.

“Per me non è mai stato un limite, anzi”, afferma Mërgim. “Sono stato fortunato: durante il Ramadan ho segnato in diverse partite, e questo mi ha dimostrato che non è una debolezza, ma una forza”.

Anche Alieu ha trovato il giusto equilibrio, grazie a una routine costruita nel tempo.

“Non è difficile”, dice. “Serve solo disciplina. Ogni preghiera ha il suo momento, quindi se riesci a incastrarla con gli allenamenti, funziona. Anche il club mi ha aiutato a gestire al meglio tutto questo”.

Per Assane, Alieu e Mërgim, il Ramadan non è soltanto una tradizione religiosa: è una parte fondamentale della loro identità.