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Gli amori di Ugo Foscolo
Come il Lago Como ha ispirato uno dei più grandi poeti di sempre
“L’anima mia ha fatto l’ultimo sforzo, e le lagrime mi grondano sulle parole che scrivo col sangue del cuore. Addio: ascoltate per carità i consigli del vostro misero amico: abbiate pietà delle sue preghiere; obbedite a’ vostri genitori, che non vorranno mai farvi infelice; sacrificatevi alla virtù, unica consolazione delle disavventure: le passioni passano, ma le sciagure restano perpetue nella nostra vita; e se non possiamo evitarle, non dobbiamo almeno esacerbarle co’ nostri rimorsi, e renderle irremediabili. Io vi amerò sempre, ve lo giuro dal profondo del cuore, vi amerò sino all’estremo sospiro; e giuro sull’onor mio di non ammogliarmi finché voi non sarete d’altri. Se l’infermità, se gli anni, se gli accidenti vi rapiranno la beltà e gli agi; se sarete padrona di voi, se sarete disgraziata; se vi mancasse nel mondo un marito, un amico, io volerò a voi: io vi sarò marito, padre, amico, fratello. Ma non sarete mia moglie finché potrò comparire vile d’innanzi a me, seduttore verso i vostri parenti, e crudele con voi. Addio con tutta l’anima, addio.”
Così si chiude uno dei più famosi componimenti di Ugo Foscolo, una lettera ispirata dagli eventi che ebbero come teatro le sponde del Lago di Como agli inizi del 1800.
In quel “del Grumello” si trova l’omonima villa gestita oggi dall’Associazione Villa del Grumello, che l’ha riportata a nuova vita su impulso iniziale della Camera di Commercio di Como. La magione, che vanta fra suoi proprietari personaggi illustri come Benedetto Odescalchi, al secolo Papa Innocenzo XI, dal 1775 passò sotto la custodia della famiglia Giovio, casata che diede i natali fra il XV ed il XVI secolo ai fratelli Benedetto e Paolo. Il primo, il maggiore, fu un uomo di legge che ricoprì diverse cariche pubbliche nella città comasca; il secondo, il più noto, Paolo, fu, tra le tante attività, umanista e cortigiano, così come medico e altresì vescovo della città di Nocera.
Paolo Giovio fu poi anche un letterato proprio come uno dei suoi discendenti, il conte Giambattista, che visse a Como a cavallo fra il 1700 ed il 1800, collezionando amicizie illustri quali quelle con Vincenzo Cuoco, Alessandro Volta, e soprattutto con Ugo Foscolo, con cui il conte, stando alle cronache più accreditate, strinse amicizia nell’estate del 1808. Fu in questa villa che il poeta di Zante conobbe la numerosa famiglia del conte: la moglie, Chiara dei marchesi Parravicini, e gli otto figli, tre maschi e cinque femmine, tra cui la diciannovenne Francesca, quartogenita, nata il 1° aprile 1789, e per cui Foscolo, si narra, fu vittima del più classico di colpi di fulmine, questo prima di lasciare Como per trascorrere alcuni mesi presso l’università di Pavia dove era detentore della cattedra di Eloquenza.
Tornò a frequentare le rive del lago e la dimora dei Giovio nella primavera del 1809, e così la giovane Francesca. La relazione fra il poeta, noto donnaiolo, e la figlia non era però gradita al conte, così che Foscolo tentò di allontanarvisi, come si legge in una lettera dello stesso anno indirizzata all’amico Giulio Gabrielli di Montevecchio, in cui il drammaturgo parlava della sua ferma volontà di “levare ogni sospetto ai parenti ed ogni lusinga alla giovinetta” al fine di compiacere Giambattista.
La relazione, nonostante gli apparenti buoni propositi del poeta però continuò, così che il padre della ragazza, profondamente cattolico, pur di non vederla accasata con lo scrittore, la diede in sposa a Victor Vautré, colonnello francese comandante del 9′ reggimento di fanteria di stanza a Brescia, di diciannove anni più grande della figlia.
Fu allora che, il 19 agosto, Foscolo scrisse una lettera alla sua “Cecchina”, come chiamava lui la giovane, in cui le giurava amore eterno. Quella lettera passò successivamente alla storia come una delle più famose creazioni letterarie dell’autore.
Nella lettera lo scrittore veneziano scriveva di non poter aspirare alla mano della giovane a causa del suo rango sociale, non essendo lui né ricco né nobile, consigliando così a Francesca di accettare la proposta di Vautré. Una tematica, questa della classe sociale, che era peraltro protagonista anche della corrispondenza che il Foscolo intratteneva con lo stesso Giambattista, corrispondenza in cui esprimeva il suo disprezzo per la nobiltà, pur nutrendo verso il conte grande stima per la persona liberale e di buon cuore che questi era.
La conversazione fra i due continuò prima con la risposta della ragazza, la quale asseriva di sentirsi amata quasi solo per compassione, poi con il poeta ad affermare di non desiderare null’altro se non la pace della giovane innamorata, sino al 12 settembre 1810, quando Francesca sposò il colonnello francese ed andò a vivere oltralpe.
Secondo alcuni studiosi, come Cesare Cantù e Adriano Bozzoli, tra le figlie del conte non solo Francesca subì il fascino di Foscolo, ma anche le sorelle Vincenzina e Felicia. Le fonti sembrano inoltre suggerire che il poeta, nello stesso periodo, mentre soggiornava a Boccogna, una frazione di Erba, con lo pseudonimo di Didimo Chierico, ebbe un’altra relazione adultera con Maddalena Marliani Bignami che si consumò in un altro scenario lariano, quello di Villa Amalia.
Maddalena, detta “Lenina”, e così citata anche da Stendhal, era solita intrattenere a sua volta anche un altro amante presso la villa, il pittore milanese Giuseppe Bossi, il quale entrò in competizione proprio con Foscolo.
La relazione con la Bignami ebbe una fine però ben diversa rispetto a quella che diede vita alla famosa lettera a Francesca: i due amanti furono infatti scoperti dal marito di lei e ne scoppiò uno scandalo al quale Maddalena non seppe far fronte, finendo per tentare il suicidio e morendo poco tempo dopo per le conseguenze del gesto.
Anche Lenina però trovo l’immortalità nelle opere di Foscolo: nel secondo inno de “le Grazie” la persona di Maddalena pare sia rappresentata dalla terza sacerdotessa che incarna la danza.