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LIFESTYLE

Gabriele Micalizzi: Tra zone di guerra e curva

Conosciuto per i suoi reportage senza filtri dai fronti di conflitto in Siria, Gaza e Ucraina, il fotoreporter milanese Gabriele Micalizzi ha trascorso gli ultimi vent’anni documentando la vita in prima linea. Membro fondatore del collettivo italiano Cesura, ha pubblicato i suoi scatti su testate internazionali come The New York Times, Le Monde e The Guardian, distinguendosi per la capacità di cogliere l’emozione allo stato puro anche sotto estrema pressione.

Nell’estate del 2024, Micalizzi ha rivolto il suo obiettivo verso un’intensità di altro tipo: il tanto atteso ritorno del Como 1907 in Serie A, dopo ben 21 anni. Integrato all’interno della squadra, ha seguito non solo le partite, ma anche i rituali, il silenzio prima del fischio d’inizio e il boato della curva—offrendo uno sguardo forgiato da una carriera dedicata a raccontare l’umanità nei suoi momenti più nudi.

In queste righe, con le sue stesse parole, racconta ciò che ha visto—e anticipa alcune delle immagini che ha catturato durante la stagione.

È un’estate torrida, quella del 2024.
È il 14 agosto, il sole è già alto quando arrivo al centro di allenamento. Scorgo una struttura fatta di impalcature metalliche, probabilmente montata per impedire la vista ai curiosi.

I giocatori si preparano, indossano sensori GPS e bevono sali minerali.
C’è una concentrazione intensa—nonostante, per la maggior parte delle persone, sia ancora tempo di vacanze.

Così inizia il mio viaggio, al seguito del ritorno del Como 1907 in Serie A.

Lo Stadio Giuseppe Sinigaglia ha una particolarità: sorge direttamente sulle rive del celebre lago, reso immortale da scrittori e pensatori.
Le montagne che lo circondano completano il quadro, suscitando qualcosa di profondamente emotivo.
È una bellezza difficile da ignorare—un’estetica che rende l’esperienza unica.

Quando è vuoto, lo stadio è quieto. Tutto si ferma.
Poi arriva il giorno della partita, e si trasforma in un palcoscenico traboccante di emozione.

È qui che entrò in contatto con i tifosi, di tutte le età e provenienze.
La curva è rumorosa e appassionata, ma anche le tribune sono gremite fino all’ultimo posto. Ad ogni occasione per la squadra, il boato ti trascina direttamente in campo.

Ed è lì che troviamo i nostri gladiatori moderni—Nico Paz, Cutrone, Gabrielloni.
E in panchina, il vero capitano, la forza trainante: Cesc Fàbregas.
La pressione è alta, perché sanno di dover dimostrare qualcosa.
La pressione è sempre alta: chiunque metta piede su quel campo sa di dover mostrare di che pasta è fatto.

Il mister pretende disciplina—nessuna distrazione.
Qui, il calcio è la priorità assoluta.

Seguire una squadra di Serie A non è semplice.
L’accesso è difficile, la società è ben organizzata, e le televisioni vengono sempre prima.
Ma, poco a poco, riesco a ritagliarmi uno spazio, a entrare.

È allora che scopro che i giocatori hanno i loro rituali, i loro talismani.
Quasi tutti indossano parastinchi personalizzati—alcuni con foto di famiglia, altri con frasi motivazionali.

Como ha una geografia particolare — una di quelle che creano le leggende.
La gente è semplice, a volte diffidente all’inizio, ma il turismo ha insegnato loro che vivono in un luogo davvero straordinario.
Film iconici sono stati girati sulle rive di questo lago (come James Bond), e forse è anche per questo che veri VIP — attori e artisti — appaiono spesso sugli spalti.

Forse è che tutti amano il calcio.
Forse è che il calcio ha questo dono: riesce a unire le persone—dal panettiere alla star del cinema, tutti fianco a fianco sugli spalti.
E forse è proprio questo che ho visto, in questo viaggio.

Per quei novanta minuti decisivi, sentiamo tutti le stesse cose.
Urliamo, ridiamo, ci lasciamo travolgere—insieme.

C’è stato un momento, in particolare, che ha definito questa stagione:
Lecce-Como, una vittoria per 3-0 dei lariani e salvezza conquistata.
L’immagine: Fàbregas che guida i giocatori verso la curva, applaude i tifosi—celebra la permanenza.

Como sarà anche una piccola città, sì, ma il club ha una dimensione internazionale.
Lo si percepisce subito: mentalità vincente, legami forti, ospiti importanti sugli spalti.
E prima del calcio d’inizio, artisti di fama come Guè si esibiscono dal vivo.

Il calcio è spietato. Si vince, si perde—a volte si pareggia.
È una metafora della vita che ho vissuto in prima persona.
Un gesto atletico può far sognare milioni di persone.
Può influenzare anche le menti più giovani.

Carmelo Bene lo aveva capito—quando parlava di arte e di emozione, citava Maradona.

Queste sono emozioni che ricorderemo per sempre.
Emozioni che ti restano dentro, per tutta la vita.